L’IVA delle operazioni soggette a split payment e reverse charge rileva ai fini del DURF

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’IVA derivante dalle operazioni in split payment e reverse charge rileva nel calcolo della soglia del 10% dei versamenti in conto fiscale del triennio, al fine di disapplicare la disciplina stabilita dall’art.17-bis, comma 5, lett. a) del D. Lgs. 241/1997.

Questo è l’importante chiarimento contenuto nella Risoluzione n.53 del 22 settembre 2020, con la quale l’Agenzia delle Entrate si è espressa in conformità a quanto già precisato dalla stessa Amministrazione finanziaria con la risposta all’interrogazione parlamentare n.5-03727 del 4 marzo 2020.

Ora tutti gli Uffici della Agenzia delle Entrate preposti al rilascio del DURF dovranno uniformarsi a tale chiarimento ufficiale.

Premessa
Come noto, a decorrere dal 1° gennaio 2020, il committente che affida il compimento di una o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a 200.000 euro ad un’impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente, e di beni strumentali di proprietà del committente, deve richiedere alle imprese appaltatrici/subappaltatrici/affidatarie dei lavori la seguente documentazione:

  • copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente/assimilati e dell’addizionale regionale/comunale IRPEF trattenute dall’impresa appaltatrice/affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera/servizio;
  • elenco nominativo di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell’esecuzione di opere o servizi affidati dal committente, con il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun percipiente in esecuzione dell’opera o del servizio affidato, l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione e il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente.

Per evitare al committente tali lunghi e onerosi controlli documentali, con possibilità peraltro di far scattare la sospensione dei pagamenti e le sanzioni, le imprese appaltatrici/affidatarie o subappaltatrici esecutrici dei lavori possono presentare una certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate (c.d. DURF), che attesta il possesso di una serie di requisiti riguardanti la durata minima dell’esercizio dell’attività e la regolarità fiscale, sia sotto il profilo dichiarativo che accertativo.

In particolare, ai sensi dell’art.17-bis, comma 5 del D. Lgs. 241/1997, i requisiti necessari che le imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici esecutrici dei lavori devono possedere per ottenere il DURF sono i seguenti:

  • essere in attività da almeno 3 anni;
  • essere in regola con gli obblighi dichiarativi;
  • aver eseguito nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo superiore al 10% dell’ammontare dei ricavi e compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;
  • non avere iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di accertamento, affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sul reddito, IRAP, ritenute e contributi previdenziali per importi superiori a 50.000 euro, per i quali siano ancora dovuti pagamenti o per i quali non siano stati accordati provvedimenti di sospensione.

Il DURF è dunque molto importante per le imprese appaltatrici e subappaltatrici dei lavori, non solo al fine di sollevare il proprio committente dagli onerosi controlli documentali, ma anche per evitare il blocco delle compensazioni delle ritenute e dei contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi disposto dai commi 1 e 8 dell’art.17-bis del D. Lgs. 241/1997.

Criticità relative alla causa di esonero di cui all’17-bis, comma 5, lett. a) del D. Lgs. 241/97 in presenza di operazioni fatturate in regime di split payment e reverse charge
Il rispetto della condizione relativa all’ammontare dei versamenti delle imposte nel conto fiscale, superiore al 10% dei ricavi risultanti dalle dichiarazioni dell’ultimo triennio, risultava di difficile raggiungimento per le imprese che operano in regime di split payment e reverse charge.

Infatti il calcolo da effettuare per la verifica della sussistenza del requisito prevede di indicare:

  • al numeratore i complessivi versamenti effettuati mediante modello F24, relativi a debiti per tributi, contributi e premi INAIL, al lordo dei crediti compensati, senza considerare i pagamenti dei debiti iscritti a ruolo, nei periodi di imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio;
  • al denominatore, i ricavi o compensi complessivi che risultano dalle dichiarazioni presentate nel medesimo triennio.

Dato che per le operazioni oggetto di split payment, l’IVA non viene versata dall’impresa esecutrice della prestazione ma viene trattenuta e liquidata dalla P.A e per le operazioni oggetto di reverse charge l’IVA viene versata dall’impresa committente della prestazione di appalto/subappalto, l’imposta di tali operazioni non veniva automaticamente inclusa nel conto fiscale dell’impresa esecutrice di tali prestazioni.

Le problematiche sopra evidenziate erano state oggetto di analisi da parte della Amministrazione finanziaria, la quale si era espressa positivamente con una risposta all’ interrogazione parlamentare n.5-03727 del 4 marzo 2020 resa dal Sottosegretario al Ministero dell’economia e finanze Alessio Mattia Villarosa.

Tuttavia tale orientamento favorevole non era condiviso da tutti gli Uffici della Agenzia delle Entrate e questo generava un forte clima di incertezza interpretativa che oltre a disorientare preoccupava non poco le imprese interessate.
Per detto motivo recentemente Assolombarda aveva proprio chiesto all’Agenzia delle Entrate di formulare un parere ufficiale sulla questione che tenesse conto dell’orientamento positivo già espresso in via ufficiosa nella risposta alla interrogazione parlamentare dell’aprile scorso.

Chiarimenti ufficiali della Agenzia delle Entrate contenuti nella Risoluzione n.53/2020
L’Agenzia ritiene che, ai fini del calcolo della soglia del 10% dell’ammontare dei ricavi o compensi, tra i versamenti, debba essere considerata anche l’IVA relativa alle operazioni rese dalle imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici alla PA e ai soggetti ad essa equiparati, obbligati allo split payment.
In particolare l’articolo 17-ter del D.P.R. n. 633/72 individua nel fornitore IVA il soggetto su cui ricade il debito di imposta nei confronti dell’Erario, in relazione alle operazioni rese nei confronti di una Pubblica Amministrazione o di un soggetto ad essa assimilato.
In un’ottica di contrasto ai comportamenti fraudolenti, viene spostato sull’ente pubblico e sui soggetti assimilati l’obbligo di versare l’IVA.
Per tali ragioni, l’Agenzia ritiene che ai fini del calcolo della “soglia del 10% “si computeranno tra i versamenti delle imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici le somme costituenti l’IVA relativa alle operazioni soggette allo split payment.”
Ad analoghe conclusioni si perviene con riferimento alle operazioni soggette al regime del reverse charge di cui all’articolo 17, comma 6, del D.P.R. n. 633/72.
Infatti, al pari dello split payment, è sempre per finalità antifrode che il versamento dell’imposta viene spostato dall’impresa appaltatrice, affidataria o subappaltatrice al committente dei lavori.
Conseguentemente anche l’IVA assolta dal committente mediante reverse charge deve essere ricompresa nei versamenti per il calcolo della soglia del 10%.

Infine nella medesima Risoluzione n.53 l’Agenzia fornisce altri 2 chiarimenti.
Nello specifico viene precisato che è possibile includere, tra i versamenti l’“imposta teorica” corrispondente al reddito della società, imputato per trasparenza ai soci (che provvedono al pagamento dell’imposta, nell’ipotesi di esercizio dell’opzione per la trasparenza fiscale) e l’“imposta sul valore aggiunto teorica” risultante dalla liquidazione periodica della società controllata, ma assolta dall’ente controllante, nel caso di opzione per la liquidazione Iva di gruppo.

Infatti, in analogia con la soluzione adottata nel paragrafo 3.1 della circolare 12 febbraio 2020, n. 1/E, per i soggetti aderenti al consolidato fiscale di cui agli articoli 117 del TUIR, anche i regimi della trasparenza fiscale e della liquidazione IVA di gruppo, si caratterizzano per il fatto che il debito tributario matura, in via autonoma, in capo a ciascuna delle società aderenti, che provvedono alla liquidazione della relativa imposta, mentre il solo assolvimento del debito tributario viene eseguito da un altro soggetto (il soggetto consolidante, il socio, l’ente controllante), legato al primo da rapporti di partecipazione/controllo.

Contatti

Ulteriori informazioni e chiarimenti possono essere richiesti al Settore Fisco e Diritto d’Impresa, tel. 02 58370.267/308, e-mail: fisc@assolombarda.it.
Sede di Pavia, tel. 0382 37521, e-mail: pavia@assolombarda.it.

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