Le imprese che mancano all'appello: cessazioni e incorporazioni

Rapporto di ricerca a cura dell'Osservatorio Assolombarda Bocconi.

Executive summary

Continuiamo a vivere un momento congiunturale particolarmente delicato, in cui crisi economica globale e tensioni finanziarie si intrecciano, riverberandosi su risultati, strategie e evoluzioni delle nostre imprese. Ci siamo domandati come questa crisi, cominciata sul finire del 2008 e ancora in corso, stia impattando, in particolare, sulle imprese manifatturiere milanesi e sulle loro performance.

Attraverso la lettura dei bilanci disponibili nella banca dati AIDA di Bureau Van Dijk, abbiamo provato a rispondere alle seguenti domande scomponendo in due l’universo delle 3.388 imprese manifatturiere milanesi con almeno 10 dipendenti attive prima dell’avvento della crisi (2008). In primo luogo, quali performance e strutture hanno presentato nell’ultimo triennio (2008-2010) le 2.980 imprese che sono tutt’oggi attive e che quindi sono “sopravvissute” alla crisi? In secondo luogo, quali sorti, quali andamenti e quali strutture hanno caratterizzato le restanti 408 imprese che tra il 2008 e il 2011 sono divenute inattive e che quindi oggi “mancano all’appello”?

La risposta alla prima domanda è contenuta nella ricerca “Le strutture e le dinamiche reddituali delle imprese milanesi nel triennio 2008-2010” che abbiamo concluso ad aprile 20121.

Nel presente  studio ci siamo soffermati, invece, sul secondo interrogativo, concentrando lo sguardo sulle 408 “imprese che mancano all’appello” e su un ulteriore insieme di 352 imprese inattive del manifatturiero e dei servizi con più di 10 dipendenti che conosciamo bene in quanto iscritte ad Assolombarda fino alla loro cancellazione tra il 2008 e oggi per cessazione dell’attività.

Rapportando questi numeri alla popolazione di riferimento otteniamo una prima indicazione dell’incidenza delle evoluzioni che andremo ad approfondire: le 408 divenute inattive rappresentano ben il 12% delle 3.388 imprese esistenti a inizio periodo, così come le 352 cancellate da Assolombarda per inattività incidono per il 9,5% sulla base associativa del 2008 presa a riferimento (3.716 imprese del manifatturiero e dei servizi con almeno 10 dipendenti). 

Il passo successivo è stato approfondire cosa effettivamente si nasconde dietro l’etichetta “inattive”, ossia le motivazioni alla base della sopraggiunta inattività.

Con l’arrivo della crisi una buona percentuale di queste imprese (la metà delle 408 e oltre i tre quarti delle 352) ha concluso definitivamente la propria esistenza, ossia è stata liquidata o è entrata in una qualche procedura concorsuale. Invece, la fetta rimanente, pari all’altro 50% delle 408 e a quasi un quarto delle 352, ha terminato la propria vita come entità giuridica autonoma fondendosi o incorporandosi con un’altra realtà e quindi, di fatto, ha proseguito la propria esistenza come azienda. Nella maggior parte dei casi tale prosecuzione è avvenuta attraverso l’incorporazione in altre società del gruppo (nell’insieme delle 408, 148 imprese sulle 203 incorporate; nell’insieme delle 352, 52 imprese sulle 74 incorporate) e - per un numero comunque non trascurabile di imprese - attraverso l’incorporazione in società esterne (nell’insieme delle 408, 55 imprese sulle 203 incorporate; nell’insieme delle 352, 22 imprese sulle 74 incorporate). Si tratta di un dinamismo che non sorprende, soprattutto negli anni di maggiore crisi: i numeri suggeriscono, da un lato, che i gruppi di imprese sono stati spinti a ripensamenti e riorganizzazioni interne per conseguire una maggiore efficienza nei costi e nella gestione e, dall’altro, che alcune aziende - plausibilmente particolarmente dinamiche e competitive - hanno approfittato del momento per rafforzarsi con acquisizioni e fusioni, magari anche riuscendo a spuntare prezzi di acquisto vantaggiosi considerata la situazione congiunturale.

Dettagliando per dimensione le 408 imprese manifatturiere divenute inattive nell’ultimo quadriennio, è interessante notare che le grandi imprese (quelle con più di 250 dipendenti) mostrano un dinamismo totale (cessazioni e incorporazioni) nettamente più alto (15,9% sulla popolazione totale) rispetto alle medie (da 51 a 250 dipendenti; 11,6%) e alle piccole (da 10 a 50 dipendenti; 12,0%). E questo maggior dinamismo delle grandi discende da una quota ben più elevata di incorporazioni, mentre ben più bassa risulta l’inattività per cessazione. In generale, sembra di poter concludere che la mortalità tende a crescere nettamente al ridursi delle dimensioni e, per converso, che le incorporazioni aumentano al crescere delle dimensioni. Anche l’analisi per classe dimensionale delle 352 imprese inattive cancellate da Assolombarda conferma il crescere delle cessazioni al diminuire delle dimensioni aziendali, mentre per le incorporazioni non sembrano emergere sostanziali differenze tra grandi, medie e piccole realtà.

A livello di distribuzione settoriale non si evidenziano, invece, correlazioni significative tra le disaggregazioni per attività economica e le caratteristiche sottostanti dei settori.

Una volta delineate le caratteristiche delle imprese inattive per motivazione dell’inattività, per dimensione e per settore, abbiamo condotto un’analisi approfondita dei bilanci degli ultimi tre anni di vita delle 408 imprese manifatturiere milanesi divenute inattive tra il 2008 e il 2011. Al pari delle riflessioni condotte per le 2.980 imprese manifatturiere milanesi ancora attive (che quindi costituiscono un utile paragone), ci siamo posti quattro insiemi di domande.

(1) Quante delle 408 imprese analizzate sono sistematicamente in perdita negli ultimi tre anni di attività? Le performance divergono sostanzialmente tra cessate e incorporate?

(2) Come si presenta la struttura del “conto economico” dell’insieme delle 408 e dei sottoinsiemi delle cessate / incorporate? Prevalgono i costi fissi o i costi variabili? Qual è, di conseguenza, la capacità di assorbimento di forti contrazioni di fatturato di queste imprese?

(3) Qual era la situazione in termini di grado di saturazione della capacità produttiva? Quanto sono vicine o lontane le 408 dal punto di pareggio (break-even)?

(4) Quale dinamica mostrano il fatturato, il reddito operativo e il reddito netto nell’ultimo triennio di attività?

Per meglio comprendere le dinamiche sottostanti, abbiamo condotto l’analisi di bilancio confrontando i risultati complessivi delle 408 con quelli dei seguenti 4 sottoinsiemi:

  • le (70) imprese inattive per procedura liquidatoria;
  • le (135) imprese inattive per procedura concorsuale;
  • le (148) imprese inattive per fusione infragruppo;
  • le (55) imprese inattive per fusione in società esterna al gruppo.

La percentuale di imprese che nei tre anni registra sempre una perdita è molto elevata, pari al 22,3% (contro il 10,6% delle 2.980 attive), a fronte della quale ritroviamo un 27,2% di imprese sistematicamente in utile/pareggio (contro il 49,5% delle 2.980 attive). Come è lecito attendersi, la distribuzione varia in modo consistente tra i quattro sottoinsiemi considerati: la quota di imprese sempre in perdita è molto maggiore nel sottoinsieme delle cessate mediante liquidazione (32,4%) o a seguito di una procedura concorsuale (28,9%), mentre le fuse in altre realtà del gruppo presentano la quota più elevata di imprese in utile o pareggio (ben 48,6%) e allo stesso tempo la quota più bassa di imprese sempre in perdita (13,5%). Anche le acquisite (e incorporate) in realtà esterne al gruppo mostrano percentuali più contenute di costante perdita nel triennio (18,2%) e più consistenti di utile/pareggio (30,9%).

L’analisi dei dati relativi al punto di equilibrio (break-even point) evidenzia che l’insieme delle 408 si trova poco sopra il punto di equilibrio se si considera sia il bilancio dell’ultimo anno di vita sia quello di due anni prima. Infatti, fatto 100 il fatturato effettivo, in entrambi gli anni il fatturato di equilibrio (quello necessario per ottenere un reddito pari a zero prima degli oneri finanziari e delle tasse) è mediamente pari a 86 (break-even point, BEP), evidenziando quindi un margine di sicurezza positivo pari al 14% del fatturato (il margine di sicurezza misura quanto calo di fatturato le imprese sono in grado di sostenere data come fissa l’attuale struttura di costi). A livello di sottoinsiemi, il margine di sicurezza nell’ultimo anno di bilancio disponibile è positivo e nettamente più ampio per le imprese fuse nel gruppo (24,3%; con un BEP pari a 75,7) e per quelle fuse in realtà esterne (15,2%, con un BEP pari a 84,8). Al contrario, le imprese che hanno cessato la loro attività mediante liquidazione o a seguito di una procedura concorsuale sono sopra BEP (e pertanto hanno un reddito operativo complessivo negativo) già all’inizio del triennio (BEP rispettivamente a 107,2 e 102,4) e nei due anni seguenti hanno peggiorato notevolmente il BEP (145,7 e 237,8).

Infine, l’analisi della dinamica reddituale delle 408 imprese inattive mostra una polarizzazione dei risultati tra sottoinsiemi negli ultimi tre anni di bilancio. A un estremo troviamo le imprese cessate che hanno conseguito pesanti riduzioni dei risultati nel triennio antecedente la chiusura dell’attività; in questi casi, l’osservazione dell’andamento dei risultati può rappresentare una sorta di campanello d’allarme di quanto sta per accadere. All’altro estremo si collocano le imprese fuse, le quali hanno incrementato le proprie performance a livello aggregato.

In particolare si evince che:

1. Le dinamiche nel triennio sono molto positive per le imprese oggetto di una fusione infragruppo:

  • il Valore della Produzione (VdP) è cresciuto del 13,1%;
  • la riduzione dei costi fissi della gestione caratteristica del 2,1% ha permesso un aumento del Reddito Operativo (RO) pari al 38,5%, superiore all’incremento del VdP;
  • il Reddito Ante Imposte (RAI) è aumentato del 153%;
  • il Reddito Netto (RN) è migliorato ancor di più, facendo registrare un +270%, grazie ad una sostanziale invarianza delle imposte nell’ultimo anno a fronte dell’aumento del RAI.

2. Le imprese oggetto di una fusione in una società esterna al gruppo hanno anche loro dinamiche positive:

  • il VdP è salito del 14,6%;
  • la riduzione dei costi fissi è stata più elevata dell’aumento di quelli variabili, pertanto il RO è cresciuto del 74,5%, ben più che il VdP;
  • il RN ha registrato un incremento ancor maggiore, pari al +165,2%.

3. Al contrario, per le imprese cessate mediante procedura liquidatoria gli andamenti complessivi nell’ultimo triennio sono negativi:

  • il VdP è caduto del 22,3%;
  • i costi fissi della gestione caratteristica sono aumentati del 4,6%, e i costi variabili del 3,4%;
  • l’effetto congiunto della caduta del VdP e dell’aumento dei costi (fissi e variabili) ha determinato una caduta del RO pari al 307,9%;
  • il RN ha messo in luce una riduzione più contenuta, ma pur sempre consistente, del -145,9%.

4. Infine, le imprese cessate a causa di una procedura concorsuale sono quelle con le performance peggiori nel triennio esaminato:

  • il VdP si è ridotto del 32,3%;
  • i costi fissi della gestione caratteristica sono cresciuti del 15,8% e i costi variabili dell’8,2%
  • di conseguenza, il RO si è contratto pesantemente (riduzione di oltre il 2.000%);
  • il RN ha registrato una riduzione più contenuta del RO, pari al -975%.

Note

1  G. Airoldi, V. Negri, F. Quarato, Le strutture e le dinamiche reddituali delle imprese milanesi nel triennio 2008-2010, Osservatorio Assolombarda Bocconi, aprile 2012.

2  I casi di “fusione in società esterne al gruppo” individuati nel presente lavoro sono riconducibili al più vasto mondo delle operazioni di M&A e ne rappresentano soltanto una piccola parte. In particolare, ove si intendesse censire l’intera popolazione di aziende oggetto di una operazione di M&A, sarebbe necessario ampliare l’orizzonte di analisi a tutte le acquisizioni in cui si è scelto di non procedere ad una fusione per incorporazione della realtà acquisita, che ha continuato ad operare in modo autonomo dal punto di vista giuridico sotto il controllo della nuova proprietà.

Contatti

Per ulteriori informazioni è possibile contattare Valeria Negri (valeria.negri@assolombarda.it. tel. 0258370.408) dell'Area Centro Studi.

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