All'Europa serve una politica industriale a lungo termine
L'editoriale di Alessandro Spada, Presidente Assolombarda - Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 2025.
Oggi vedo davanti a noi un problema di prospettiva: stiamo guardando il dito e non la luna. Il dibattito pubblico si sta concentrando sulla questione dei dazi americani verso i prodotti europei. Condivido la preoccupazione generale, anche perché la loro introduzione potrebbe costare all’Italia fino a 7 miliardi di dollari.
Da questa parte dell’Atlantico, in Europa, invito però alla cautela per tre ragioni: la politica dei dazi avrà un effetto boomerang anche per gli USA, poiché una quota consistente dell’industria americana ha forti interessi nelle aziende europee. In secondo luogo, Trump sostiene si tratti di “dazi della reciprocità” poiché il resto del mondo è stato verso gli USA finora più protezionista di quanto gli USA non siano stati verso il resto del mondo e il loro persistente deficit commerciale annuale ne è la conseguenza. Ci dobbiamo abituare al fatto che gli USA non continueranno ad essere per sempre il mercato più aperto. La nostra risposta può essere solo europea. Terza ragione: la prima ad autoimporsi dei dazi è l’Europa stessa. Ne ha scritto, pochi giorni fa, Mario Draghi in un lungo editoriale per FT e lo ha ribadito in modo altrettanto netto all’Eurocamera. L'incapacità, infatti, di lunga data dell'UE di affrontare le elevate barriere interne e gli ostacoli normativi che si è auto-costruita sono molto più dannosi per la crescita di qualsiasi tariffa che gli USA possono imporre.
Da questa parte dell’Atlantico, in Europa, i dazi rappresentano il dito, mentre il rischio di declino industriale rappresenta la luna. Guardiamo la luna.
Gli USA, ma potrei direi lo stesso per la Cina, hanno chiaro in testa che l’industria è una questione di sicurezza, forza e progresso civile per un Paese. Lo sanno da prima di Trump! Sulla re-industrializzazione degli USA - per correggere gli eccessi della globalizzazione - il vero acceleratore lo ha premuto il governo Biden (pensiamo all’IRA!). Gli americani, indipendentemente dallo schieramento politico, hanno chiaro che senza industria semplicemente non c’è l’America. Fanno, dunque, tutto ciò che è nelle loro possibilità per riportare “a casa” la loro capacità industriale, attraverso una nuova politica industriale concreta e di lungo periodo.
Noi, come Europa, siamo ancora la seconda realtà manifatturiera del mondo dopo la Cina. Siamo davanti agli USA, ma questi ormai sono ad un passo dal superarci. Eppure, perché questo non accada basterebbe che anche in Europa attuassimo una nuova politica industriale concreta e di lungo periodo. Una politica fatta innanzitutto di grandi investimenti comuni, soprattutto su settori alla frontiera della tecnologia, usando i nostri punti di forza come i talenti, la capacità innovativa e quella di ricerca. Il premio Nobel Giorgio Parisi ha proposto di costruire un Cern europeo per l’IA, alla scoperta di quello “che ancora non c’è”. Facciamolo! Sono questi, infatti, gli ingredienti vincenti della ricetta europea per aggredire mercati e tecnologie ancora da sviluppare dove possiamo guadagnarci un vantaggio competitivo. A questo aggiungiamo: una profonda e radicale de-regulation (i veri dazi verso noi stessi!) e il superamento dell’estremizzazione dell’ideologia green che - così come è stata impostata finora - ci sta portando dritti verso la de-industrializzazione. Anche da questa parte dell’Atlantico, senza industria non c’è Europa.
Se poi rimpicciolisco geograficamente la visuale, ho il privilegio di rappresentare una parte consistente di un territorio in grado di confrontarsi direttamente con intere economie nazionali: la Lombardia fa un PIL maggiore di Austria, Danimarca e il doppio della Grecia. È un osservatorio privilegiato dove emerge chiaramente che è l’Europa il nostro perimetro minimo di azione e ragionamento e che anche in questa parte di territorio europeo vale la stessa regola che vale ovunque: senza industria non c’è Italia. Sono tante le questioni che potrei sottolineare, ma voglio porre l’accento su una, in particolare, che è quella che ci consente più di tutte di attivare la crescita e di rafforzare la nostra competitività: gli investimenti e quindi Industria 4.0. Va rifinanziata e va reinserito il software nel beneficio. Grazie al Piano Industria 4.0, l’Italia ha portato la sua quota di investimenti in macchinari e tecnologie sul Pil dal 6,1% del 2014 al 7,6% del 2023. Guardiamo alla luna. Ne abbiamo tutte le capacità e il talento.
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