L’infiltrazione delle mafie nelle aziende del nord Comunicato stampa

L’infiltrazione delle mafie nelle aziende del nord

Tutte le aree della gestione aziendale sono a rischio contaminazione e viene confermata dallo studio una pericolosa zona grigia tra sfera economica legale e ambito politico e civile.

Martedì 30 giugno 2015 – Sono stati presentati oggi i risultati della ricerca “Rischi di infiltrazione mafiosa nelle imprese del Nord Italia. Strategie, meccanismi e segnali di allarme: la realtà del fenomeno e la percezione delle aziende”. Promosso da Assolombarda, Fondirigenti e Aldai, insieme con Fondazione ISTUD e il Centro Federico Stella dell’Università Cattolica di Milano in veste di partner scientifici, lo studio mappa i rischi d'infiltrazione mafiosa nelle imprese del Nord Italia al fine di proporre delle ipotesi di lavoro che rispondano - in maniera coordinata da un punto di vista sociale, imprenditoriale ed istituzionale - all'emergenza della criminalità organizzata. Quali i risultati?

Dallo studio emerge che spesso sono le aree ad alta valenza strategica a diventare varchi per l’infiltrazione mafiosa: tra queste, la definizione della struttura societaria o la governance, la finanza oppure lo sviluppo del business. In questi casi, i principali attori coinvolti sono imprenditori e amministratori. Quando, invece, le aree aggredite sono quelle operative – come gli acquisti, la gestione del personale, i servizi di supporto o le vendite – lo studio mette in luce come le organizzazioni criminali tendano a infiltrarsi non solo attraverso gli imprenditori (nei casi di più piccole dimensioni) ma anche tramite personale interno e di livello direttivo (nei casi di maggiori dimensioni e strutture più articolate). Il rischio delle imprese a esporsi alla contaminazione di cellule criminali viene legata alla necessità di operare in tempi di crisi (il 26% delle scelte) e alla volontà di guadagnare di più (20%) e battere i concorrenti (20%). Il processo d'infiltrazione è solitamente facilitato da soggetti che popolano la cosiddetta zona grigia; vale a dire da individui che agiscono nella sfera economica legale, in quella politica e civile intrattenendo rapporti di scambio con coloro che appartengono ai nuclei criminali e facendo da tramite tra questi e l’impresa legale. Accanto a questi soggetti operano intermediari, persone affiliate o comunque vicine alla criminalità organizzata che hanno l'obiettivo di individuare e avvicinare le potenziali vittime, traendone a loro volta un vantaggio. L'infiltrazione mafiosa nell'economia legale sembra pertanto strutturarsi sotto forma di processo dinamico, all'interno del quale entrambi i fattori della sottomissione e della collusione entrano in gioco fino ad estromettere l’imprenditore dalle decisioni aziendali. Imprenditori e manager sembrano essere consapevoli che il fenomeno mafioso riguarda oramai tutta l'Italia e che esso sta attualmente conoscendo un’ulteriore fase di espansione a seguito della crisi economico-finanziaria.  Dall'altro lato, però, questi stessi attori riconoscono di non avere una conoscenza sufficiente del fenomeno della criminalità organizzata; il 53% dei rispondenti ha dichiarato, per esempio, di avere una conoscenza del fenomeno appena sufficiente o addirittura insufficiente. La maggioranza del campione (32%) ha sottolineato la corruzione come leva principale utilizzata dalla criminalità organizzata nei processi di infiltrazione, individuando, inoltre, tre aree aziendali ad alto rischio: gli acquisti, il commerciale e la finanza. Di fronte agli attuali rischi d'infiltrazione criminale, il 54% del campione ritiene poco o per niente efficaci le misure di prevenzione e di controllo adottate tramite il D.lgs 231/2001. La ricerca ha messo in luce, invece, le molteplici aspettative che gli attori economici nutrono oggi verso le istituzioni: un maggiore controllo e difesa sociale da parte delle forze dell’ordine, l'incentivazione di reti di supporto e regolamentazione inter-organizzativi, una maggiore educazione/formazione sul tema e, infine, l'applicazione di sanzioni per le imprese non compliant e di premialità per le imprese compliant. L'istanza di legalità del mondo manageriale sembra quindi passare obbligatoriamente attraverso la diffusione di un nuovo orientamento valoriale e professionale dell’intero management aziendale, che lo metta nelle condizionidi affrontare in modo consapevole e responsabile i dilemmi etici derivanti dal processo decisionale.
“La ricerca fa parte del progetto “Lotta alle infiltrazioni criminali nelle imprese” del Piano strategico di Assolombarda per Far volare Milano, a testimonianza del nostro impegno per lo sviluppo e per l’affermazione di una cultura del mercato e del merito ha nella difesa della legalità e nell’attività antimafia un pilastro fondamentale – dichiara Antonio Calabrò, Consigliere incaricato di Assolombarda con delega alla Legalità e Responsabilità sociale d’impresa -. La sempre più allarmante presenza, anche in Lombardia, dei clan di ‘ndrangheta, mafia e camorra e gli intrecci tra criminalità organizzata e corruzione diffusa nella pubblica amministrazione rischiano di frenare la crescita economica e inquinare le relazioni sociali. Necessaria dunque una risposta sempre più efficace. Da parte di Assolombarda, ci si muove su un doppio piano. Innanzitutto, si continua a lavorare per sensibilizzare gli imprenditori sul senso del rischio dell’inquinamento mafioso e sulla necessità di un ruolo attivo per individuarlo e ostacolarlo, a tutela delle imprese sane. Poi, si collabora con le istituzioni, a cominciare dal Palazzo di Giustizia e dalla Prefettura, per una giustizia più efficace e per una pubblica amministrazione trasparente ed efficiente. La legalità, insomma, è cardine della competitività di Milano. E l’antimafia è chiave per l’economia giusta”.
“Gli imprenditori e manager del Nord sono impreparati alla complessità e alla rischiosità del fenomeno mafioso. Fanno coincidere il tutto con la corruzione ma abbiamo visto che la infiltrazione nelle aziende può avvenire attraverso molti altri varchi. Oltre alla difesa sociale, un ruolo fondamentale deve averlo la formazione dei decisori aziendali, ai vari livelli aziendali. La normativa sulla compliance, soprattutto per le piccole imprese, è una sovrastruttura spesso non sufficiente”, afferma Marella Caramazza, Direttore Generale Fondazione ISTUD.
Gianluca Varraso ed Enrico Maria Mancuso, coordinatori del gruppo di ricerca del Centro Studi "Federico Stella" sulla Giustizia penale e la Politica criminale, osservano: “La presenza di vere e proprie imprese criminali, oltre a minare l'ordinamento democratico, altera il regolare andamento del mercato, falsando la leale concorrenza e condizionando l’intera società civile. Gli strumenti normativi attuali costituiscono un presidio essenziale per il contrasto al crimine organizzato. Il quadro dei meccanismi di prevenzione esistenti, tuttavia, esige consapevolezza del fenomeno e padronanza dei mezzi d'intervento: la gestione dei beni confiscati, in questa prospettiva, deve basarsi sulla professionalità e sull'etica degli amministratori giudiziari, veri attori del processo virtuoso di restituzione alla collettività dei proventi delle attività illecita. L'esperienza di questi ultimi anni ha, inoltre, manifestato l'insufficienza di alcuni tratti della disciplina vigente, con particolare riferimento alla gestione degli immobili e al recupero alla legalità delle aziende inquinate, spesso dirette in chiave liquidatoria: sono questi i principali temi che esigono una riflessione seria, anche in prospettiva di riforma del codice delle leggi antimafia”.
“I dirigenti possono dare un grande contributo. Con un corso ad hoc finalizzato ad acquisire le conoscenze e competenze necessarie  alla valutazione e gestione di imprese sequestrate alla criminalità organizzata, abbiamo formato una squadra di oltre 50 manager che sono pronti ad intervenire per guidare queste aziende verso un rilancio che confermi la cultura della legalità”, afferma Romano Ambrogi, Presidente di ALDAI, l’Associazione Lombarda di Dirigenti di Aziende Industriali che rappresenta e tutela circa 16.000 iscritti, “nel percorso sono stati studiati anche casi di organizzazioni confiscate, con l’elaborazione di proposte concrete di intervento da parte dei manager.”

Martedì 30 giugno 2015 – Sono stati presentati oggi i risultati della ricerca “Rischi di infiltrazione mafiosa nelle imprese del Nord Italia. Strategie, meccanismi e segnali di allarme: la realtà del fenomeno e la percezione delle aziende”. Promosso da Assolombarda, Fondirigenti e Aldai, insieme con Fondazione ISTUD e il Centro Federico Stella dell’Università Cattolica di Milano in veste di partner scientifici, lo studio mappa i rischi d'infiltrazione mafiosa nelle imprese del Nord Italia al fine di proporre delle ipotesi di lavoro che rispondano - in maniera coordinata da un punto di vista sociale, imprenditoriale ed istituzionale - all'emergenza della criminalità organizzata.

Quali i risultati? Dallo studio emerge che spesso sono le aree ad alta valenza strategica a diventare varchi per l’infiltrazione mafiosa: tra queste, la definizione della struttura societaria o la governance, la finanza oppure lo sviluppo del business. In questi casi, i principali attori coinvolti sono imprenditori e amministratori. Quando, invece, le aree aggredite sono quelle operative – come gli acquisti, la gestione del personale, i servizi di supporto o le vendite – lo studio mette in luce come le organizzazioni criminali tendano a infiltrarsi non solo attraverso gli imprenditori (nei casi di più piccole dimensioni) ma anche tramite personale interno e di livello direttivo (nei casi di maggiori dimensioni e strutture più articolate).Il rischio delle imprese a esporsi alla contaminazione di cellule criminali viene legata alla necessità di operare in tempi di crisi (il 26% delle scelte) e alla volontà di guadagnare di più (20%) e battere i concorrenti (20%).

Il processo d'infiltrazione è solitamente facilitato da soggetti che popolano la cosiddetta zona grigia; vale a dire da individui che agiscono nella sfera economica legale, in quella politica e civile intrattenendo rapporti di scambio con coloro che appartengono ai nuclei criminali e facendo da tramite tra questi e l’impresa legale. Accanto a questi soggetti operano intermediari, persone affiliate o comunque vicine alla criminalità organizzata che hanno l'obiettivo di individuare e avvicinare le potenziali vittime, traendone a loro volta un vantaggio.

L'infiltrazione mafiosa nell'economia legale sembra pertanto strutturarsi sotto forma di processo dinamico, all'interno del quale entrambi i fattori della sottomissione e della collusione entrano in gioco fino ad estromettere l’imprenditore dalle decisioni aziendali. Imprenditori e manager sembrano essere consapevoli che il fenomeno mafioso riguarda oramai tutta l'Italia e che esso sta attualmente conoscendo un’ulteriore fase di espansione a seguito della crisi economico-finanziaria.

Dall'altro lato, però, questi stessi attori riconoscono di non avere una conoscenza sufficiente del fenomeno della criminalità organizzata; il 53% dei rispondenti ha dichiarato, per esempio, di avere una conoscenza del fenomeno appena sufficiente o addirittura insufficiente. La maggioranza del campione (32%) ha sottolineato la corruzione come leva principale utilizzata dalla criminalità organizzata nei processi di infiltrazione, individuando, inoltre, tre aree aziendali ad alto rischio: gli acquisti, il commerciale e la finanza. Di fronte agli attuali rischi d'infiltrazione criminale, il 54% del campione ritiene poco o per niente efficaci le misure di prevenzione e di controllo adottate tramite il D.lgs 231/2001. La ricerca ha messo in luce, invece, le molteplici aspettative che gli attori economici nutrono oggi verso le istituzioni: un maggiore controllo e difesa sociale da parte delle forze dell’ordine, l'incentivazione di reti di supporto e regolamentazione inter-organizzativi, una maggiore educazione/formazione sul tema e, infine, l'applicazione di sanzioni per le imprese non compliant e di premialità per le imprese compliant. L'istanza di legalità del mondo manageriale sembra quindi passare obbligatoriamente attraverso la diffusione di un nuovo orientamento valoriale e professionale dell’intero management aziendale, che lo metta nelle condizionidi affrontare in modo consapevole e responsabile i dilemmi etici derivanti dal processo decisionale.

“La ricerca fa parte del progetto “Lotta alle infiltrazioni criminali nelle imprese” del Piano strategico di Assolombarda per Far volare Milano, a testimonianza del nostro impegno per lo sviluppo e per l’affermazione di una cultura del mercato e del merito ha nella difesa della legalità e nell’attività antimafia un pilastro fondamentale – dichiara Antonio Calabrò, Consigliere incaricato di Assolombarda con delega alla Legalità e Responsabilità sociale d’impresa -. La sempre più allarmante presenza, anche in Lombardia, dei clan di ‘ndrangheta, mafia e camorra e gli intrecci tra criminalità organizzata e corruzione diffusa nella pubblica amministrazione rischiano di frenare la crescita economica e inquinare le relazioni sociali. Necessaria dunque una risposta sempre più efficace. Da parte di Assolombarda, ci si muove su un doppio piano. Innanzitutto, si continua a lavorare per sensibilizzare gli imprenditori sul senso del rischio dell’inquinamento mafioso e sulla necessità di un ruolo attivo per individuarlo e ostacolarlo, a tutela delle imprese sane. Poi, si collabora con le istituzioni, a cominciare dal Palazzo di Giustizia e dalla Prefettura, per una giustizia più efficace e per una pubblica amministrazione trasparente ed efficiente. La legalità, insomma, è cardine della competitività di Milano. E l’antimafia è chiave per l’economia giusta”.

“Gli imprenditori e manager del Nord sono impreparati alla complessità e alla rischiosità del fenomeno mafioso. Fanno coincidere il tutto con la corruzione ma abbiamo visto che la infiltrazione nelle aziende può avvenire attraverso molti altri varchi. Oltre alla difesa sociale, un ruolo fondamentale deve averlo la formazione dei decisori aziendali, ai vari livelli aziendali. La normativa sulla compliance, soprattutto per le piccole imprese, è una sovrastruttura spesso non sufficiente”, afferma Marella Caramazza, Direttore Generale Fondazione ISTUD.

Gianluca Varraso ed Enrico Maria Mancuso, coordinatori del gruppo di ricerca del Centro Studi "Federico Stella" sulla Giustizia penale e la Politica criminale, osservano: “La presenza di vere e proprie imprese criminali, oltre a minare l'ordinamento democratico, altera il regolare andamento del mercato, falsando la leale concorrenza e condizionando l’intera società civile. Gli strumenti normativi attuali costituiscono un presidio essenziale per il contrasto al crimine organizzato. Il quadro dei meccanismi di prevenzione esistenti, tuttavia, esige consapevolezza del fenomeno e padronanza dei mezzi d'intervento: la gestione dei beni confiscati, in questa prospettiva, deve basarsi sulla professionalità e sull'etica degli amministratori giudiziari, veri attori del processo virtuoso di restituzione alla collettività dei proventi delle attività illecita. L'esperienza di questi ultimi anni ha, inoltre, manifestato l'insufficienza di alcuni tratti della disciplina vigente, con particolare riferimento alla gestione degli immobili e al recupero alla legalità delle aziende inquinate, spesso dirette in chiave liquidatoria: sono questi i principali temi che esigono una riflessione seria, anche in prospettiva di riforma del codice delle leggi antimafia”.

“I dirigenti possono dare un grande contributo. Con un corso ad hoc finalizzato ad acquisire le conoscenze e competenze necessarie  alla valutazione e gestione di imprese sequestrate alla criminalità organizzata, abbiamo formato una squadra di oltre 50 manager che sono pronti ad intervenire per guidare queste aziende verso un rilancio che confermi la cultura della legalità”, afferma Romano Ambrogi, Presidente di ALDAI, l’Associazione Lombarda di Dirigenti di Aziende Industriali che rappresenta e tutela circa 16.000 iscritti, “nel percorso sono stati studiati anche casi di organizzazioni confiscate, con l’elaborazione di proposte concrete di intervento da parte dei manager.”

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