Pil Italia -10,1% nel 2020 secondo Prometeia

Rapporto di previsione Prometeia 7 luglio 2020

In sintesi

Nonostante la situazione sanitaria mondiale sia ancora incerta, in Europa, Cina e Stati Uniti il punto di minimo del ciclo economico è stato superato, ma la ripresa mondiale non avverrà in tempi rapidi. In Italia la risposta della politica fiscale, seppur rilevante e tempestiva, non sarà sufficiente per riavviare in modo deciso consumi e investimenti.

Italia: nel 2020 perdita del 10% e ritorno ai livelli pre-Covid solo nel 2025

Conclusa l’emergenza, l’Italia inizia una fase di nuova normalità e di convivenza con il virus, registrando tuttavia una recessione nel secondo trimestre di portata storica (-12,9%). Per l’intero 2020, Prometeia prevede una contrazione del PIL del -10,1% cui seguirà un rimbalzo nel 2021 (+5,9%), man mano che tutte le attività economiche (compreso il turismo e l’intrattenimento) torneranno a livelli normali di operatività.
Secondo Prometeia inoltre, il rapporto deficit/Pil 2020 si attesterà all’11% e il debito/Pil al 159%. Tuttavia, in questa fase di grande incertezza, lo stimolo dato dalla politica fiscale (5 p.p. di Pil nel 2020), non sembra in grado di riavviare i consumi e gli investimenti, frenati anche dalla forte incertezza e dal crollo del commercio internazionale, ma si sta traducendo in un forte aumento delle disponibilità liquide di famiglie e imprese.
Le misure di policy introdotte infatti, sebbene tempestive, ampie e innovative, e di supporto nel contenimento dei costi di questa crisi, nel caso del nostro paese già gravato da un elevatissimo debito pubblico, non sembrano sufficienti né a impedire la forte flessione nel 2020 né a sostenere successivamente un rimbalzo che compensi la recessione. In questo contesto, Prometeia prevede un ritorno ai livelli pre-Covid nel 2025.

Pil mondo: lo sfasamento dell’andamento ciclico dei Paesi rallenta la ripresa

Dopo la recessione della Cina nel primo trimestre, la caduta della domanda in Europa e negli Usa nel secondo, gli emergenti smettono di essere il traino della crescita mondiale e subiscono gli effetti diretti della pandemia, cui si aggiungono il rallentamento del commercio internazionale, dei flussi turistici, e l’effetto di cambiamenti strutturali come la regionalizzazione del commercio (dovuta a ragioni di sicurezza nazionale).

Nel 2020, Prometeia stima un crollo del Pil mondiale pari al -5,2% e un calo del commercio internazionale del -14,4%.

Negli Stati Uniti (Pil 2020: -5,7%), le restrizioni in aprile sono state meno rigide che in Europa, la caduta della produzione industriale meno profonda, tuttavia il riaccendersi di focolai porta ad inasprimenti delle misure di contenimento, con il rischio di soffocare i timidi segnali di ripresa (riduzione della disoccupazione, ripresa delle vendite al dettaglio in maggio). Dopo l’estate, il mercato del lavoro potrebbe non essere ancora ripartito del tutto, causando una frenata di redditi e consumi: in tal potrebbero essere necessari nuovi stimoli fiscali.

In Cina (Pil 2020: +0,6%), il recupero della produzione industriale fa supporre il superamento del punto di minimo, ma l’incertezza, dovuta al riscontro di nuovi casi di Covid-19, non dà lo slancio necessario a riportare la crescita sui ritmi di espansione pre-crisi.

Nell’Area Euro (Pil 2020: -8,1%), un numero elevato di lavoratori è rimasto formalmente occupato grazie al sostegno di programmi governativi. Nonostante questo supporto, tuttavia, l’occupazione totale nei principali paesi europei vedrà quest’anno una caduta che Prometeia prevede verrà recuperata solo a partire dal 2024. Alcuni settori stenteranno a riprendere e ciò renderà strutturale parte della disoccupazione inizialmente temporanea, portando l’economia ad una situazione in cui la domanda resta al di sotto del pre-Covid.

Infine, la crisi sta acuendo dei trend già in atto:
• le tensioni tra Usa e Cina, destinate a crescere nei prossimi anni, indebolendo ulteriormente il commercio internazionale;
• le divergenze economiche all’interno dell’Eurozona, con paesi come Italia e Spagna più colpiti di altri, in parte a causa di una diversa specializzazione/organizzazione produttiva, in parte per i limiti nelle risposte fiscali imposti da debiti pubblici elevati.

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